Il mistero dell’elfo da laboratorio che dispensa versi, noia e sfigataggine al festival di Modena

E insomma la puntata precedente ti vede al Festival di Modena, felice per la ritrovata popolarità della filosofia e speranzoso in un’uguale rinascita anche per la poesia, magari tramite apposito festival di cui già cominci a fantasticare le vedettes.
Mentre vai sognando lecturae dantis con Sermonti-Virgilio e Benigni-Dante, e “cattedrali verbali” di Mandel’stam illustrate in Duomo dalla voce di Sgarbi e dal pennello di Serafini (“La poesia che fa girare la testa, che è beatamente inebetita, e che pure è l’unica cosa sobria e desta al mondo”, “La poesia è vomere che ara e rivolge il tempo, portandone in superficie gli strati più profondi e fertili”), fra gli eventi accessori del Festival vedi annunciata giustappunto una lettura poetica.
In realtà quelle poche righe di programma trasudano presagi sinistri: si parla di “performance di poesia, musica e arte”; di ben tre ore; in un “laboratorio di poesia”; “con Cesare Viviani e in suo onore” – cioè con, e in onore di, un signore che ricordi legato alla poesia solo per la tenacia della reciproca estraneità. Ma fin qui il marchio del Festival della Filosofia ti ha soddisfatto appieno, e la coincidenza con il miraggio di un suo equivalente poetico è troppo calzante. Perciò ti avventuri.
Il “laboratorio di poesia” è in un vicoletto, e dà sul piano stradale. Varchi la soglia e ti trovi catapultato in un’allegoria della poesia come perfetto ibrido di noia e sfigataggine.
Una stanza di pochi metri quadri, torrida, maleodorante. Un tavolino, dietro il quale un tizio dalla voce inutilmente bella cerca di compenetrarsi nella lettura di versi impenetrabili. Accanto a lui, un elfo con tratti da alpino sventaglia sguardi di inspiegabile astio; dev’essere l’autore, visto che si sforza di non compitare le parole che l’altro va declamando. Di fronte, il pubblico: una ventina di sventurati che boccheggiano non si sa se più di caldo o noia, compresi cinque o sei che – stando alla chioma – ritieni siano i musicisti che a fine evento postilleranno di note i versi.
Forse riusciresti a resistere, ma l’elfo – col pretesto del rumore che viene dalla strada, in realtà inviperito per i confessi salti di strofe con cui il lettore evita di maramaldeggiare sull’uditorio – condanna tutti all’asfissia intimando di chiudere le finestre. Ne approfitti per svignartela, però corri a procurarti una copia dell’opera di Viviani, per cercarvi almeno un indizio che giustifichi la sua presenza al Festival della Filosofia.
Sarà per via dell’“inesausta ricerca etica della bellezza” sobriamente attribuitagli dal risvolto di Poesie 1967-2002? “Auttutto s’era franto fino ammesso la recèrce del padre | porta in India com’è, raschio di palo celere | quel poco e inavvertibile di agguati era parvo di paolo | ma non voglio | attirarmi con quanti tralasciando l’incisa | prendon le pie dell’orto”. No: inesausta può darsi, ma come ricerca ha l’aria d’essere ai primi passi – peraltro in direzione sbagliata.
Sarà allora, sempre da risvolto, per “l’incanto e la grazia infallibile della parola” e il “geniale e inventivo estro linguistico”? “Crusoe con i cardi non si sterza… | va da Santillo e il mite pirotecnico | gli dedica una coda di famìgliole. | Cappio! m'avvicinavo alla plaga felina | ove l’atroce rossa non arriva”. Incanto? Inventiva? Si direbbero giochi di parola da protoliceale. “A un tatto d’improvviso cambiò cento | e trista melanina! nel ribrezzo | mi riprovai per una certa o scura | che la garitta mia s’era incarnita…” Che estro, parafrasare Dante: geniale eccome! Ma forse è più geniale Mondadori a pubblicarlo.
Nelle note (eh sì, Viviani è di quelli che appendono ai propri versi glosse confidenziali di gran rilievo esegetico) leggi che “L’espandersi della forma dialogata fu contemporaneo all’arrivo nella mia vita di Francesca Corneli. Segni della sua armoniosa grazia sono rimasti nella pagina.” Se la grazia della gentile signora è armoniosa quanto la relativa pagina, sei ben lieto di non conoscerla.
Poi però ecco la rivelazione, sferrata al termine di una nota più agio- che biografica: “Dal dicembre 2000 [Viviani] scrive, ogni settimana, un aforisma sull’«Avvenire»”. Ecco spiegata la partecipazione di cotanto poeta a un festival di filosofi: bontà divina.

---------------------

Trent’anni di versi
e manco una poesia.
Eppur continua.

Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 18 ottobre 2003

Sommario

pus-megafono

Videor

logo_raccapriccio

Sommario

avete-rotto-la-mi

logo_raccapriccio

Sommario

pus-megafono
logo_raccapriccio