Sei al Festival della Filosofia, a Modena. Ti piace, addirittura ti appassiona. E lo vedi appassionare anche gli altri, le migliaia di spettatori che affluiscono in piazze e chiese della città per seguire, con naturalezza e slancio da cinefili, le lezioni di decine di pensatori celebri.
Ti sembra un miracolo, che qualcuno sia riuscito a rivelare la spettacolarità della filosofia a un pubblico di non iniziati. Fai un rapido inventario di materie altrettanto ostiche, e ti domandi quanti tentativi di imitazione stiano già nascendo sulla scorta di questo successo, quanti progetti di manifestazioni simili siano in cantiere grazie alla plateale riprova dell’erroneità – finalmente – dell’equazione Profondo = Palloso. Vedi già una Festa della Matematica, un Meeting dell’Ingegneria, una Sagra del Diritto Canonico… ma in realtà stai solo sognando un festival di quella che ormai è diventata l’incolpevole regina dell’impopolarità: la Poesia.
Il tuo sogno non ha niente a che vedere con le serate sedicenti poetiche di Castelporziano, dove annosi giovinastri d’oltreoceano, riesumati dal sarcofago etilico grazie all’immancabile Pivano, imbastivano reading ferali e incomprensibili. Né con le compiaciute letturine per amici compiacenti elargite in teatro da incauti epigoni pasoliniani (vedi quel Cerami che, su Repubblica giorni fa, sperando di dar spessore a un polpettone sul black-out scopiazzato da Gibson, ha sfigurato il genio del “darkling I listen” di Keats facendone un “nel buio io ascolto” di rara sordità logica e poetica).
Tu per la poesia sogni un festival come questo di Modena, dove la materia avvinca per davvero, non per moda; e i testi incantino non per interposta canna bensì per valore proprio e di chi li porge. Un festival dove una Patrizia Valduga miracolosamente priva di orpelli declami dall’alto della Ghirlandina la Penelope di Rosaria Lo Russo (“Da vent’anni euriclea materna rammendo con lo sputo | la tua voglia pelosa di cinghiale buscata a caccia nell’infanzia | accogliendo a braccia aperte la tua sete d’ansia |…| ogni tanto geometro da sola la mia vuota noia di perpetua | di nascosto sposto il peplo e svesto con un dito insinuante il tuo miraggio sinuoso | e mi periplo mi periplo stanca disilludendo la tua ansia di purezza”).
Dove il maxi-schermo in Piazza Grande rimandi, in mancanza di Gassman, volto e voce di un Marco Pannella che sfrecci nel cielo di Modena a bordo di un Savoia Marchetti ruggendo l’“Aeroplano” di Soffici (“L’infinito ha un profumo di frutta matura | Di benzina | Di cosce di poppe di capelli pettinati dopo la doccia | Delle mie ascelle che adoro | Bacio la vulva del firmamento senza rumore |…| Ho compiuto tutti i corsi dell’arte e del vizio e posseggo il documento ufficiale | Ho inventato tre sensi la chimica della fantasia la resurrezione di tutte le cose | La transustanziazione dell’arcobaleno | E la volatilizzazione esilarante dell’etica | Ho finito i miei nervi sulla quadruplice tastiera degli amori”).
Dove Ennio Cavalli affidi le sue belle lezioni poetiche – raccolte da Archinto sotto il brutto titolo Il poeta è un camionista – a un Cossiga peripatetico nella Cavallerizza Ducale di Sassuolo, a mo’ di Nigel Hawtorne nel tributo della BBC a Betjeman, in cui l’indimenticabile interprete di “La pazzia di Re Giorgio” passeggiava fra procaci ed elegantissime ballerine impegnate a coreografare i versi che andava declamando (“fair tigress of the tennis courts | so short in sleeve and strong in shorts”).
Un festival dove Oliviero Toscani e Paolo Poli presentino una loro collana di libretti d’opera realizzati con la tecnica del fotoromanzo – con Desdemone interpretate da veline, Otelli da calciatori d’importazione, e Jaghi da avvocati prestati alla politica e mai abbastanza restituiti – per liberare finalmente i testi di Boito e di Piave dall’assordante glossa sonora di Verdi e lasciarli sprigionare tutta la loro pura e incantevole poesia popolare…
Ma ecco che, fra le centinaia di eventi accessori previsti dal Festival della Filosofia, ne scopri uno dedicato giustappunto alla poesia: “L’ordine della creazione – performance di poesia, musica e arte con Cesare Viviani e in suo onore”. Buffa coincidenza. Ci vai.
(continua)
Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 4 ottobre 2003