La società Aeroporti di Roma regala ai passeggeri quattro volumi. Preparare il paracadute

C’è in giro gente incredibilmente umile. Gente così umile da accettare, pur vantando fulgidi trascorsi da ministro, la carica di vice-qualcosa anziché di qualcosa tout court. Vedi per esempio Paolo Savona, vice-presidente della società Aeroporti di Roma.
Ma c’è gente persino più umile, tanto umile da mortificare la propria superba casa editrice pubblicando operucole da quattro soldi per operazioni da trenta danari. E qui ci riferiamo a Scheiwiller, già marchio prestigioso nel campo della poesia mondiale.
Non è finita: in giro c’è gente talmente umile, e d’umiltà così claustrale, da accettare una provvidenziale assunzione al cielo poetico pur essendone totalmente ignara ed essendovi affatto ignota. E qui – consci di violare la sua edificante modestia – alludiamo a tal Ricciardi Jacopo, cui Savona ha affidato la gestione di una sontuosa iniziativa “culturale” per dar lustro all’azienda che vice-presiede.
Forse l’ex ministro non è sfiorato dal sospetto che i due scali romani, non proprio esemplari per efficienza e comodità, possano trarre lustro più da progetti pertinenti che da mecenatate al cui confronto quelle di Prada sembrano medìcee. Fatto sta che ha deciso di regalare fino al 31 gennaio ai passeggeri di Fiumicino e Ciampino – magari da compulsare mentre incanutiscono in coda al check-in o cercano di ridurre alla commestibilità panini di caucciù – le opere della collana “PlayOn”, suggestivo titolo che qui possiamo tradurre con “balòccati pure”.
A baloccarsi, dunque, il vice-aviostazione chiama il suddetto Ricciardi, preso chissà dove e scelto chissà perché. E a confezionargli i balocchi convoca il suddetto Scheiwiller (ovvero chi ne ha ereditato l’azienda).
Il risultato sono quattro volumetti la cui squisita fattura, unica traccia dell’antico fasto editoriale, non compensa purtroppo il dilagarvi a mansalva del Ricciardi. Il quale, troppo umile per contentarsi degli insperati panni di selezionatore, veste anche quelli di selezionato, occupando e co-occupando due volumi su quattro (gli illesi sono un vano Mallarmé, ben tradotto da Cucchi, e sei insipide prove narrative del poeta Caproni).
Il primo baloccamento si intitola Poesie della non morte, e, pur avendo l’onestà di manifestarsi incomprensibile sin dal sottotitolo (“terzo libro delle poesie della non morte in intercessione”), va avanti per cento pagine con delizie tipo “felicità aperta del sole salita nell’abbraccio delle | cose come la spiga della luce del giorno | eternamente stesa tra due nere casualità di luce | di una spiga trattenuta una sua aria | contornata come ora il sole con la sua | vista, che cieca ci investe non più cieca | in questo nostro sole azzurro coi raggi | dolci delle specie cui dentro…”, tutte stampate per il lungo e, forse al fine di rafforzarne la già spiccata musicalità, con un’insana tendenza a far verso al primo stormire di apostrofo (“la casa come una casa più vera aperta su un’ | altra casa ancora fatta di luce con pareti scomparse nell’ | istinto della salvezza dove rarissima luce muove nell’aria come…”).
Il secondo baloccamento, If music be the food of love, play on (trattasi di Shakespeare sotto taciute spoglie), Ricciardi accetta di spartirlo con altri due carneadi di pari rango (vedi l’autopresentazione di uno dei due: “Ha fatto, oltre all’esercizio dell’indolenza, ciò che viene comunemente chiamata tutta una serie dei più svariati lavori” – sic). Però se ne accaparra la prefazione; e lì, fra un “chiave di partenza” e un “è mio forte sentimento che questo libro” che ne tradiscono i grattacapi anche con la prosa, allude oscuramente ai “quattro poeti di questo libro” (“the four poets” nella cruciale traduzione a fronte). A parte la tenera assurdità di chiamarli poeti, che fine ha fatto il quarto? Estromesso all’ultimo momento, dopo una tavola rotonda di Ricciardi fra sé e sé al self-service di Ciampino? magari perché non ritenuto all’altezza degli altri tre? In tal caso ci piacerebbe conoscerne il nome: dev’essere per forza un genio.

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Ancora disagi per chi vola:
versi in lista d’attesa.
Feccia alata.

Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 24 gennaio 2004

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